Internet delle cose: cresce in Italia il numero degli oggetti connessi

…..da WIRED

Seconda la ricerca del’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano sono Smart Car e Smart Home i settori in crescita, mentre per la Smart City c’è da aspettare ancora un po’

Nel 2013 in Italia sono stati 6 milioni, gli oggetti interconnessi tramite rete cellulare, 20% in più rispetto al 2012, con una crescita sul mercato dell’11%. A conferma che l’Internet delle cose non è solo elettronica di consumo, uno dei settori in maggiore espansione è quello della Smart Car – con oltre 2 milioni di auto connesse e un fatturato in crescita del +35% – e della Smart Home in cui, oltre alla soluzioni tradizionali, si affermano nuove applicazioni dedicate al consumatore finale, dalla gestione domestica alla sfera personale.

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Questi sono i risultati principali della ricerca dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano: la Smart City rimane uno dei principali ambiti di sviluppo dell’Internet of Things, anche se in Italia i progetti riguardano soprattutto applicazioni dai ritorni certi, come illuminazione pubblica e raccolta dei rifiuti.

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Nello specifico, il 47% del totale degli oggetti interconnessi via rete cellulare in Italia è costituito da autovetture (Smart Car), il 26% da applicazioni di Smart Metering (contatori intelligenti) e Smart Asset Management (gestione da remoto di macchinari) nelle Utility, il 10% da applicazioni di Smart Asset Management in altri contesti come il monitoraggio di gambling machine e ascensori, il 9% di Smart Home, il 5% di Smart Logistics e il 2% di Smart City & Smart Environment.

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Analizzando il fatturato complessivo, si ha più o meno lo stesso ordine. Interessante, invece, il dato secondo cui il 73% del valore di mercato deriva da soluzioni basate interamente su rete cellulare, mentre il restante 27% è legato invece a soluzioni “miste”, che vedono l’impiego di altre tecnologie – come ad esempio Power Line Communication o tecnologie radio, per la raccolta dei dati dal campo.

L’auto connessa

La Smart Car è il settore dell’Internet of Things più dinamico in Italia. Nel 2013 il 95% delle auto connesse hanno utilizzato applicazioni per l’utilizzo di box GPS/GPRS per la localizzazione dei veicoli privati e la registrazione dei parametri di guida a scopo assicurativo.

E in futuro saranno sempre di più i veicoli con SIM cellulare a bordo: si stima che nel 2016 le macchine connesse in Italia rappresenteranno circa il 20%, crescita legata alla sempre maggiore diffusione di veicoli “nativamente connessi”, una funzionalità richiesta dalla normativa eCall, in base a cui da ottobre 2015 tutti i nuovi modelli immessi sul mercato dovranno poter effettuare chiamate automatiche di emergenza.

La casa “intelligente”

L’altro ambito che mostra un grande dinamismo in Italia è la Smart Home, che rappresenta un quinto del fatturato delle soluzioni IoT. Accanto al consolidamento delle soluzioni tradizionali di domotica e automazione industriale basate su tecnologia cellulare, nel 2013 sono nate tante nuove soluzioni rivolte, come dicevamo sopra, direttamente al consumatore dedicate a comfort e sicurezza.

Nei prossimi anni sarà determinante l’impatto della tecnologia Bluetooth Low Energy (BLE) – stessa tecnologia utilizzata per esempio da iBeacon – in grado di facilitare la connessione di oggetti intelligenti di uso quotidiano e dispositivi mobili in ambito domestico. Oggi, infatti, circa l’1% delle abitazioni in Italia è dotato di dispositivi per il telecontrollo del riscaldamento e/o l’antintrusione, ma con l’affermarsi delle tecnologie wireless all’interno dell’abitazione e con la crescente disponibilità di dispositivi BLE si arriverà a più di 3 milioni di oggetti domestici connessi nel 2016 in Italia.

E con l’aumento del numero e della varietà dei dispositivi, sarà sempre più necessario garantire l’interoperabilità tra soluzioni di fornitori diversi, attraverso piattaforme – come il progetto portato avanti Homelab – che unifichino l’esperienza dell’utente, sia in fase di sviluppo e configurazione che nella gestione degli oggetti intelligenti.

Smart City

La Smart City rimane uno dei principali campi di applicazione dell’Internet of Things, anche se in Italia, nonostante tante sperimentazioni, le applicazioni avviate sono ancora circoscritte a poche funzionalità dai ritorni e risparmi certi: come l’illuminazione pubblica intelligente, le applicazioni di raccolta rifiuti per l’identificazione dei cassonetti e il supporto alla tariffazione puntuale.

Internet of Things e startup

L’analisi realizzata evidenzia un grande fermento imprenditoriale nell’Internet of Things sia in USA sia in Europa, poco più di un terzo offrono soluzioni di Smart Home e wearable objects rivolti al consumatore finale che in comune hanno l’utilizzo di app su dispositivi mobili per poter accedere al servizio.

26/02/2014Permalink

Cosa può fare il 5G nelle nostre vite? La visione della Commissione Europea

…… da  redazione TECH  ECONOMY

 

Entro il 2020 ci sarà più di 30 volte il traffico internet mobile del 2010. Ma sarà un traffico diverso rispetto ad oggi, caratterizzato dall’esplosione non più solo di tablet e smartphone ma da miliardi di oggetti connessi a dare vita al cosiddetto Internet of Things, o meglio ancora, Internet of Everything.

 

Un volume immenso di connessioni che avrà bisogno di una “tecnologia più efficiente e onnipresente per trasportare il traffico dati“: il .  Dopo le dichiarazioni di Neelie Kroes a Barcellona in cui il Vice Presidente della Commissione Europea responsabile per l’Agenda Digitale ha sottolineato l’importanza del 5G per la competitività mondiale dell’Europa, la stessa Commissione europea ha diffuso la sua  visone, accompagnata da una infografica che ripercorre l’evoluzione delle comunicazioni mobili dal 1991 al prossimo 2030, su cosa il 5G possa fare per tutti noi.

 

  • eHealth: la telechirurgia  ha fatto notizia nel 2001, quando la prima procedura chirurgica transatlantica a distanza avvenne tra New York City e Strasburgo: comandi innescati negli Stati Uniti sono stati sotto il controllo di dispositivi chirurgici in Francia, con qualche piccolo ritardo. Il 5G renderà questo scenario molto più facile e preciso. La specificità del 5G renderà, ad esempio, il tempo di risposta dei comandi a distanza vicino allo zero e fornirà al professionista con grande comodità e precisione. Sempre più spesso nel prossimo futuro  un paziente che ha bisogno di un intervento urgente o specifico potrebbe essere gestito da un professionista che non è in sala operatoria fisicamente.
  • Domotica: le case futuro saranno piene di dispositivi collegati, sarà l’epoca dell’Internet nelle cose. Non solo verranno fornite informazioni sull’ambiente ma si moltiplicheranno le connessioni tra i device. Un termostato intelligente, ad esempio, potrà ”parlare” a un rilevatore di fumo in modo che le informazioni combinate siano in grado di fornire informazioni più affidabili in caso di incendio. Nel caso in cui nessuno sia presente questa informazione potrà essere usata per allertare i soccorsi. “Le case– spiegano dalla Commissione – sono destinate a diventare enormi fonti di informazioni e dati saranno trasferiti ai dispositivi mobili per il monitoraggio remoto, controllo ed eventuale decisione. Il 5G è in grado di supportare tali scenari domestici collegati e abbatteranno i costi del servizio”.
  • Trasporti sicuri: i veicoli diventano più sicuri grazie all’integrazione delle e saranno presto in grado di comunicare con il mondo esterno, sul modello di quanto è stato già sperimentato in America. Ma per fare questo c’è bisogno di trasmissioni istantanee e di grande portata che non è possibile con le reti attuali.
  • Smart grids: le utility faranno sempre più affidamento sulla comunicazione senza fili per sostenere le loro attività. Spesso in zone rurali o remote  la connettività wireless garantisce un monitoraggio a basso costo e  ancora una volta 5G potrà portare soluzioni in cui i sistemi esistenti non possono.
  • Intrattenimento: con le reti 5G si potranno usare grandi nuove applicazioni anche in luoghi affollati. Si pensi agli stadi, suggeriscono dalla Ue, e alla possibilità di riprodurre e ripetere le fasi interessanti del gioco da diverse angolazioni e con l’alta definizione su cellulari o tablet, grazie al 5G. Oppure, in ambito business, chi ha cercato di connettersi a Internet in una sala conferenze con più di 200 persone ha sperimentato la perdita di connettività a causa dell’instabilità delle reti di accesso WiFi. Grazie a 5G , tali problemi saranno presto parte del passato.
25/02/2014Permalink

La strada per uscire dalla crisi? Fare!

 Massimo Banzi ha creato la scheda Arduino, principale strumento del movimento dei makers. E gli artigiani 2.0 crescono anche in Italia: «Nuova occupazione. Ora, non fra dieci anni»

«I maker rispondono così alla crisi: si impegnano per raggiungere i propri sogni, fanno, creano». Ci eravamo tutti un po’ ingannati, spiega Massimo Banzi. Credevamo che avesse vinto il virtuale, che nel mondo di domani le mani sarebbero servite sempre di meno. Il movimento dei makers, secondo alcuni «la prossima rivoluzione industriale», è lì a dimostrare il contrario. Artigiani 2.0 che hanno rilanciato il concetto di produzione, ma tecnologica e partecipata. A loro, proprio Banzi ha fornito lo strumento di lavoro decisivo: la scheda elettronica Arduino. E negli ultimi tempi, dopo essersi imposto come superstar dell’innovazione negli Stati Untiti, è diventato anche profeta in patria. A ottobre la Maker Faire di Roma ha registrato 35mila visitatori. I FabLab, luoghi di progettazione e creazione condivisa, stanno nascendo un po’ ovunque nello Stivale. E la fondazione Make In Italy, che Banzi ha appena lanciato insieme al giornalista Riccardo Luna e all’imprenditore Carlo De Benedetti, potrà dare ulteriore impulso al movimento: «Si genera nuova occupazione. Ora, non fra dieci anni», dice alla Fonderia dei Talenti.

Un po’ tutti abbiamo sognato di fare gli inventori. Tu come lo sei diventato?

«Sono cresciuto giocando con i circuiti elettronici, ho maneggiato il mio primo saldatore a 12 anni. A Monza, dove sono nato, ho frequentato l’istituto tecnico. Poi mi sono iscritto a Ingegneria, che però ho lasciato per andare a lavorare. Un’esperienza come capo della tecnologia di Seat Ventures, quindi qualche anno come architetto software tra Milano e Londra. Dal 2002 ho iniziato a insegnare all’Interaction Design Institue, la scuola post-laurea che Olivetti e Telecom avevano creato a Ivrea. Ed è proprio lì, tre anni dopo, che è nata Arduino».

Di che cosa si tratta?

«Serviva uno strumento di prototipazione elettronica per gli studenti della scuola, con cui anche persone non esperte di informatica potessero dare corpo ai loro progetti. Così abbiamo creato una piccola scheda elettronica, come quella che si trova in tutti i pc, ma molto economica, 25 dollari, e capace di interagire con il mondo esterno. Con pochissime competenze si può usare Arduino per gestire installazioni artistiche, modellini di aeroplani, e sensori o per connettere gli oggetti alla Rete, rendendoli intelligenti: lampade che si accendono via internet, vasi di fiori che segnalano via sms quando hanno bisogno di acqua, oggetti vintage che possono essere programmati tornando a nuova vita. L’abbiamo chiamata Arduino perché era il nome del bar dove io e gli altri quattro fondatori abbiamo concepito l’idea».

Una democratizzazione della tecnologia?

«L’obiettivo è da subito stato quello di trasformare la tecnologia in uno strumento creativo alla portata di tutti. Prima artisti e i designer, che non conoscevano nulla o quasi di elettronica. Poi qualsiasi aspirante inventore. Anche dopo che abbiamo iniziato a vendere la scheda, il progetto Arduino è rimasto open: chiunque può scaricare gli schemi e utilizzarli sotto licenza Creative Commons. Gli unici elementi protetti sono il nome e il logo».

Oggi le schede Arduino sono centinaia di migliaia, nelle case e nei garage di tutto il mondo. Come è stato possibile?

«La chiave è stata la rete di persone che si è raccolta intorno al progetto. Arduino ha varie anime. Quelle tecniche sono la scheda e il software, anche questo aperto, per programmarla. Ma la parte decisiva sono i valori condivisi da chi la usa. Il desiderio di apprendere facendo, costruendo, scoprendo i processi attraverso la sperimentazione piuttosto che con studi teorici. E la condivisione con la comunità: i maker caricano in Rete i loro progetti, li mettono a disposizione e li discutono con gli altri inventori. La creazione partecipata».

Così Arduino è diventato lo strumento del movimento maker. Si tratta davvero di una rivoluzione industriale?

«Stiamo vivendo una transizione culturale, economica e sociale. Una democratizzazione resa possibile dalla diffusione di internet e dalla condivisione delle conoscenze, che ora si sta trasferendo anche al mondo materiale, degli oggetti. Le stampanti 3D e il crowdfunding allargano la possibilità di creare: il movimento maker porta il do it yourself a un nuovo livello. La possibilità di inventare e prototipare sarà sempre più alla portata di tutti e con strumenti più raffinati si potranno produrre piccole serie di prodotti a prezzi ragionevoli. Certo, continueranno a esistere i colossi industriali. Ma accanto a loro nasceranno migliaia di piccole aziende di nicchia. Arduino rappresenta il cuore tecnologico di molti strumenti utilizzati dai makers, a partire dalle stampanti 3D. Ma soprattutto incarna i valori del movimento».

Che cresce anche in Italia. In fondo, il cuore del made in Italy sono gli oggetti.

«Lo scorso ottobre la Maker Fair di Roma, la prima organizzata in Europa, ha avuto 35mila visitatori. Perché il voler fare è una risposta alla crisi. Il maker cerca di trasformare la propria invenzione in azienda, ma lo fa in forma collaborativa e legata al territorio, non per forza con una logica di profitto. Dopo il primo che abbiamo fondato a Torino, nel 2011, stanno nascendo in tutta Italia dei Fablab, officine di creazione che si riempiono di startup. Ora, non fra dieci anni o sprecando migliaia di euro, come fanno i governi quando investono in innovazione. I makers non chiedono politiche dall’alto, ma uno Stato più efficiente che dia libertà a chi vuole innovare. La Fondazione Make in Italy, che abbiamo lanciato la scorsa settimana con Riccardo Luna e Carlo De Benedetti agirà proprio per rafforzare il movimento nel nostro Paese».

Intel ha iniziato a produrre una scheda, Galileo, compatibile con Arduino, e anch’essa open. La grande multinazionale insegue il piccolo produttore?

«Finalmente una grande società è riuscita a vedere nel mondo dei maker un bacino di potenzialità. L’onda d’urto Intel è grande per noi, abituati a vivere su numero più ristretti. Lavoreremo insieme per realizzare prodotti che mettano a disposizione di creatori e studenti le performance e la scalabilità delle tecnologie Intel. Noi faremo in modo che il loro contributo sia compatibile con lo spirito della comunità. In fondo l’obiettivo è comune: produrre strumenti semplici ed efficaci per sviluppare modi non convenzionali, utili e innovativi di usare la tecnologia».

22/02/2014Permalink

Auto elettriche che forniscono servizi di rete, un mercato in crescita

Mobilità elettrica e smart grid. Nei prossimi 8 anni prevista la vendita di oltre 250mila veicoli elettrici abilitati a fornire servizi di bilanciamento alla rete quando sono in fase di ricarica.

17/02/2014

Auto elettriche che forniscono servizi di rete, un mercato in crescita

Il termine inglese è vehicle-to-grid, in sigla V2G: auto elettriche messe a disposizione della rete come sistemi di accumulo per livellare i picchi e garantire stabilità in un sistema elettrico dominato da fonti non programmabili come sole e vento. La mobilità elettrica da sempre è considerata un ingrediente importante della smart grid, la rete elettrica intelligente necessaria alla transizione energetica. Ora questo scenario sta iniziando a concretizzarsi.

Ssi cominciano infatti a vedere impianti a rinnovabili che usano come accumuli batterie di auto elettriche giunte a fine corsa e soprattutto si preannuncia un mercato in espansione anche per veicoli elettrici predisposti, oltre che per trasportare persone, per fornire servizi di rete quando sono attaccati alla presa: secondo Navigant Research, dal 2013 al 2022 saranno venduti oltre 250mila veicoli di questo tipo, finora usati essenzialmente in progetti pilota, e i ricavi che si avranno fornendo servizi di rete in questo modo passeranno dai 900mila dollari l’anno del 2013 a 190,7 milioni di dollari al 2022.

Partiamo dall’idea più semplice, quella di dare una seconda vita alle batterie delle auto elettriche quando arrivano ad avere prestazioni insufficienti per essere usate sui veicoli. In diversi progetti queste batterie vengono già usate come energy storage al servizio delle rinnovabili non programmabili. La notizia più recente a riguardo è quella del sistema di accumulo realizzato dalla giapponese Sumitomo Corp., in collaborazione con Nissan, al servizio di un parco fotovoltaico da 10 MW vicino ad Osaka, il progetto Osaka Hikari-no Mori: usando 16 batterie a fine vita della Nissan Leaf, si è realizzato un accumulo con potenza 0,6 MW e capacità 0,4 MWh. Facile capire come, in un futuro prossimo in cui la quantità di batterie di auto elettriche giunte alla fine della loro prima vita aumenterà in maniera esponenziale, il loro riutilizzo come batterie stanziali, magari anche nel residenziale, potrebbe avere un grande potenziale nel far scendere il costo dei sistemi di accumulo.

Altro mercato interessante, come anticipavamo, quello del vehicle-to-grid vero e proprio, cioè dei mezzi elettrici predisposti per funzionare come buffer energetico per la rete quando sono in ricarica. Questi veicoli possono fornire servizi di rete, cioè bilanciamento, cambiando la velocità a cui si ricaricano in base alle esigenze del sistema elettrico o addirittura reimmettendo energia in rete in caso di picchi di domanda.

Progetti pilota in questo senso sono in corso da diversi anni (già nel 2009 avevamo parlato di quel che si sta facendo sull’isola danese di Bornholm), ora – riporta Navigant Research – diversi modelli di business che fanno V2G si sono affermati e nella seconda metà del decennio saranno anche i singoli a mettere la loro auto a disposizione della rete. Il mercato, in questo momento assolutamente marginale, è destinato a crescere costantemente: come detto, si prevede che si vendano nei prossimi 8 anni oltre 250mila veicoli abilitati al V2G.

A spingere sono grandi corporation e progetti pubblici: ad esempio il dipartimento per la Difesa Usa ha di recente annunciato un investimento da 20 milioni di dollari per installare entro fine anno 500 veicoli predisposti al V2G, da dislocare presso varie basi in diversi mercati elettrici degli States.

Ovviamente gli ostacoli da superare affinché la diffusione del vehicle-to-grid diventi capillare sono molti. Innanzitutto le regole dei diversi mercati elettrici, che spesso, come accade in Italia, sono piuttosto restrittive nel definire i soggetti abilitati a fornire servizi di bilanciamento. Navigant si aspetta comunque che mercati elettrici con un crescente contributo di fonti non programmabili, come eolico e fotovoltaico, prevedano una forte penetrazione dei veicoli elettrici (vedi Cina) e adottino regole che agevolino il V2G al fine di rendere più efficiente il sistema elettrico.

(Articolo a cura di Qualenergia.it)

19/02/2014Permalink