La strada per uscire dalla crisi? Fare!

 Massimo Banzi ha creato la scheda Arduino, principale strumento del movimento dei makers. E gli artigiani 2.0 crescono anche in Italia: «Nuova occupazione. Ora, non fra dieci anni»

«I maker rispondono così alla crisi: si impegnano per raggiungere i propri sogni, fanno, creano». Ci eravamo tutti un po’ ingannati, spiega Massimo Banzi. Credevamo che avesse vinto il virtuale, che nel mondo di domani le mani sarebbero servite sempre di meno. Il movimento dei makers, secondo alcuni «la prossima rivoluzione industriale», è lì a dimostrare il contrario. Artigiani 2.0 che hanno rilanciato il concetto di produzione, ma tecnologica e partecipata. A loro, proprio Banzi ha fornito lo strumento di lavoro decisivo: la scheda elettronica Arduino. E negli ultimi tempi, dopo essersi imposto come superstar dell’innovazione negli Stati Untiti, è diventato anche profeta in patria. A ottobre la Maker Faire di Roma ha registrato 35mila visitatori. I FabLab, luoghi di progettazione e creazione condivisa, stanno nascendo un po’ ovunque nello Stivale. E la fondazione Make In Italy, che Banzi ha appena lanciato insieme al giornalista Riccardo Luna e all’imprenditore Carlo De Benedetti, potrà dare ulteriore impulso al movimento: «Si genera nuova occupazione. Ora, non fra dieci anni», dice alla Fonderia dei Talenti.

Un po’ tutti abbiamo sognato di fare gli inventori. Tu come lo sei diventato?

«Sono cresciuto giocando con i circuiti elettronici, ho maneggiato il mio primo saldatore a 12 anni. A Monza, dove sono nato, ho frequentato l’istituto tecnico. Poi mi sono iscritto a Ingegneria, che però ho lasciato per andare a lavorare. Un’esperienza come capo della tecnologia di Seat Ventures, quindi qualche anno come architetto software tra Milano e Londra. Dal 2002 ho iniziato a insegnare all’Interaction Design Institue, la scuola post-laurea che Olivetti e Telecom avevano creato a Ivrea. Ed è proprio lì, tre anni dopo, che è nata Arduino».

Di che cosa si tratta?

«Serviva uno strumento di prototipazione elettronica per gli studenti della scuola, con cui anche persone non esperte di informatica potessero dare corpo ai loro progetti. Così abbiamo creato una piccola scheda elettronica, come quella che si trova in tutti i pc, ma molto economica, 25 dollari, e capace di interagire con il mondo esterno. Con pochissime competenze si può usare Arduino per gestire installazioni artistiche, modellini di aeroplani, e sensori o per connettere gli oggetti alla Rete, rendendoli intelligenti: lampade che si accendono via internet, vasi di fiori che segnalano via sms quando hanno bisogno di acqua, oggetti vintage che possono essere programmati tornando a nuova vita. L’abbiamo chiamata Arduino perché era il nome del bar dove io e gli altri quattro fondatori abbiamo concepito l’idea».

Una democratizzazione della tecnologia?

«L’obiettivo è da subito stato quello di trasformare la tecnologia in uno strumento creativo alla portata di tutti. Prima artisti e i designer, che non conoscevano nulla o quasi di elettronica. Poi qualsiasi aspirante inventore. Anche dopo che abbiamo iniziato a vendere la scheda, il progetto Arduino è rimasto open: chiunque può scaricare gli schemi e utilizzarli sotto licenza Creative Commons. Gli unici elementi protetti sono il nome e il logo».

Oggi le schede Arduino sono centinaia di migliaia, nelle case e nei garage di tutto il mondo. Come è stato possibile?

«La chiave è stata la rete di persone che si è raccolta intorno al progetto. Arduino ha varie anime. Quelle tecniche sono la scheda e il software, anche questo aperto, per programmarla. Ma la parte decisiva sono i valori condivisi da chi la usa. Il desiderio di apprendere facendo, costruendo, scoprendo i processi attraverso la sperimentazione piuttosto che con studi teorici. E la condivisione con la comunità: i maker caricano in Rete i loro progetti, li mettono a disposizione e li discutono con gli altri inventori. La creazione partecipata».

Così Arduino è diventato lo strumento del movimento maker. Si tratta davvero di una rivoluzione industriale?

«Stiamo vivendo una transizione culturale, economica e sociale. Una democratizzazione resa possibile dalla diffusione di internet e dalla condivisione delle conoscenze, che ora si sta trasferendo anche al mondo materiale, degli oggetti. Le stampanti 3D e il crowdfunding allargano la possibilità di creare: il movimento maker porta il do it yourself a un nuovo livello. La possibilità di inventare e prototipare sarà sempre più alla portata di tutti e con strumenti più raffinati si potranno produrre piccole serie di prodotti a prezzi ragionevoli. Certo, continueranno a esistere i colossi industriali. Ma accanto a loro nasceranno migliaia di piccole aziende di nicchia. Arduino rappresenta il cuore tecnologico di molti strumenti utilizzati dai makers, a partire dalle stampanti 3D. Ma soprattutto incarna i valori del movimento».

Che cresce anche in Italia. In fondo, il cuore del made in Italy sono gli oggetti.

«Lo scorso ottobre la Maker Fair di Roma, la prima organizzata in Europa, ha avuto 35mila visitatori. Perché il voler fare è una risposta alla crisi. Il maker cerca di trasformare la propria invenzione in azienda, ma lo fa in forma collaborativa e legata al territorio, non per forza con una logica di profitto. Dopo il primo che abbiamo fondato a Torino, nel 2011, stanno nascendo in tutta Italia dei Fablab, officine di creazione che si riempiono di startup. Ora, non fra dieci anni o sprecando migliaia di euro, come fanno i governi quando investono in innovazione. I makers non chiedono politiche dall’alto, ma uno Stato più efficiente che dia libertà a chi vuole innovare. La Fondazione Make in Italy, che abbiamo lanciato la scorsa settimana con Riccardo Luna e Carlo De Benedetti agirà proprio per rafforzare il movimento nel nostro Paese».

Intel ha iniziato a produrre una scheda, Galileo, compatibile con Arduino, e anch’essa open. La grande multinazionale insegue il piccolo produttore?

«Finalmente una grande società è riuscita a vedere nel mondo dei maker un bacino di potenzialità. L’onda d’urto Intel è grande per noi, abituati a vivere su numero più ristretti. Lavoreremo insieme per realizzare prodotti che mettano a disposizione di creatori e studenti le performance e la scalabilità delle tecnologie Intel. Noi faremo in modo che il loro contributo sia compatibile con lo spirito della comunità. In fondo l’obiettivo è comune: produrre strumenti semplici ed efficaci per sviluppare modi non convenzionali, utili e innovativi di usare la tecnologia».

22/02/2014Permalink